Oggi 24 novembre ricordiamo Lea Garofalo. Chi era la donna-coraggio?

Uccisa perché ha detto no. Ma Lea Garofalo è viva, nessun silenzio davanti alla sua storia

Agli occhi di tutti quello di Lea Garofalo era un destino già scritto, figlia di un boss della ‘ndrangheta, sorella di un boss, nata e cresciuta tra la violenza più brutale che non risparmia nemmeno il proprio sangue, Lea doveva essere una fimmina di ‘ndrangheta. Fredda, rassegnata e proiettata al mantenimento dello status quo, come molte sue conoscenti e familiari. 

Lea era diversa. 

Rifiuta la violenza, vuole staccarsi dal mondo crudele che il padre Antonio Garofalo, il fratello Floriano e persino il suo compagno Carlo Cosco avevano preparato per lei. Lei, nata in una piccola cittadina calabrese, Petilia Policastro, lei, voce inascoltata di donna, lei sola e abbandonata da tutti, sarebbe riuscita a spezzare la ruota colpendo al cuore del sistema mafioso con l’arma più forte in suo possesso: la parola.

Ma facciamo un passo indietro.

Sono i primi anni ’90 e Lea, giovane e innamorata fa un primo tentativo per staccarsi dalla propria famiglia d’origine, lasciando la Calabria e scegliendo di trasferirsi a Milano assieme al suo compagno Carlo Cosco, padre di sua figlia Denise. Lea pensa di poter avere una vita diversa, migliore, assieme a sua figlia, ma non passa troppo tempo prima che si accorga di essere caduta in una prigione quasi peggiore di quella di Petilia Policastro. 

Lea non è sola

Carlo Cosco è uno ‘ndranghetista ambizioso e spietato, che ha scelto Lea solo in quanto erede di un boss. Il suo unico obiettivo è scalare la piramide mafiosa diventandone il capo indiscusso.

E così una nuova spirale di violenza avvolge la vita di Lea ma questa volta c’è Denise, Lea non è sola, non lotta solo per la sua vita ma anche per quella di sua figlia. 

Lea Garofalo e la figlia Denise

Il 2002 è l’anno della decisone più difficile e rischiosa: Lea denuncia, Lea accusa tutti, Lea punta il dito contro la ‘ndrangheta alla presenza della legge.

Lea ha denunciato

Se questa storia fosse una storia di giustizia, se fosse una storia a lieto fine, Lea oggi sarebbe una donna viva, libera e felice assieme a Denise. Ma la verità è molto diversa e la giustizia in questo caso ha fallito.

Lea ha denunciato, ma alle sue parole non ha fatto seguito alcuna indagine; la sua voce, rimasta inascoltata dalla legge ha terrorizzato la mafia e da quel momento in poi, Lea è diventata un bersaglio nel mirino di Carlo Cosco.

Oggi 24 novembre celebriamo l’anniversario della morte di Lea Garofalo, uccisa, strangolata e bruciata dal clan ‘ndranghetista capeggiato da Carlo Cosco nel 2009 a Milano. 

La morte di Lea sarà la causa dell’arresto e della condanna di tutti i suoi assassini, la morte di Lea distruggerà la ruota criminale della sua famiglia e Lea diventerà la donna simbolo, l’inno alla giustizia, la voce forte che porta speranza. Ma doveva essere la sua vita a gridare, non la sua morte.

Lea è viva

Oggi noi non celebriamo la sua morte, ma il suo coraggio. Celebriamo la sua voce, il suo sorriso, il suo nome. Celebriamo la sua storia, raccontandola, facendo sì che nessuno sia in silenzio, oggi e in nessun giorno a venire. La ricordiamo con le parole di Paolo De chiara, giornalista e autore del libro “Una fimmina calabrese, così Lea Garofalo sfidò la ‘ndrangheta”. «Le mafie, sino a oggi, hanno ucciso più di 150 donne. Solo grazie alle fimmine è possibile immaginare un futuro diverso per questo Paese, un futuro senza il puzzo opprimente di queste organizzazioni criminali, che possono tutto per la loro immensa potenza economica e militare».

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