La squadra del cuore, gli amici di sempre, una carrellata di ricordi e storie di vita negli anni dell’adolescenza in campo e fuori del dal campo di calcio.
Santo Barresi, finalmente in pensione dedica il suo tempo libero coltivando le sue passioni di sempre, la ricerca e la lettura.
Finalmente in pensione, detto così sembra essere una liberazione, un premio, un apprezzato riconoscimento per la tua indefessa costanza verso quell’infinito lavoro che ti ha accompagnato per tanti anni della tua giovane vita. Liberazione sì, ma accompagnata anche dalla costrizione, dalla forzatura del tuo stato di salute che, obtorto collo, arrivato a una certa età, costringe a dichiararti out. Premi e riconoscimenti zero. L’unica consolazione e se vogliamo premio il tuo ritrovato tempo libero, poiché devi essere capace di centellinare e fartelo durare il più possibile.
Ci vuoi raccontare chi sei e cosa fai nella vita? Insomma, chi è Santo Barresi?
Sono nato in uno dei tanti paesini centro-Siculi, Barrafranca, nel 1958 del secolo scorso. Un paesino come tanti, adagiato su una collina e dedito da sempre alla sua unica risorsa principale, l’agricoltura, tranne un trentennio che va dal 1970 al 2000 del Secolo scorso, in cui ha avuto anche un boom edilizio.
Come la stragrande maggioranza della popolazione indigena la mia famiglia era dedita all’agricoltura. Giuseppe, mio padre, seppur poco più benestante dei suoi pari grado, ha fatto anche lui l’agricoltore. Il 1958 fu l’anno cruciale per la famiglia Barresi, nacqui io e mio padre emigrò in Germania. Sono cresciuto con la mamma e gli altri miei fratelli, almeno fino al 1967, anno in cui la mia famiglia si ricongiunge quando mio padre decide di rientrare definitivamente, per aprire una propria attività: un panificio. Ero santo di nome e di fatto, tutto casa e chiesa.
Ragazzo timido ed educato, andando a scuola scoprii il vero unico grande amore della mia vita: la lettura. Curioso e attento decifratore di quelle parole che si andavano materializzando sotto i miei occhi e dentro la mia testa man mano che leggevo. Più Leggevo e più cresceva dentro me la, mai sazia, voglia di continuare a farlo. Leggevo tutto e di tutto, tutto quello che passava sotto il mio schermo visivo era fotografato, letto e possibilmente immagazzinato. Non solo ero attratto dalla lettura, ma anche dall’etimo della parola e del suo significato.
Cresciuto e aiutato tanto da quel dono naturale, conseguire il diploma Magistrale fu abbastanza agevole. Studiavo e, nello stesso tempo, lavoravo nell’azienda di famiglia. Una volta diplomato, ho anche iniziato a fare supplenze, ma fui costretto ad abbandonare la carriera di insegnante, forse più congeniale per me, vista la mia grande passione per la lettura e lo studio, e scegliere quel lavoro più remunerativo ma anche più faticoso offerto dall’azienda di famiglia, il panificatore.
L’incontro con la scrittura avviene in tarda età?
La lettura è nata con me e con me morirà, come hobby, divertimento, piacere personale e felicità alienante. La scrittura è stata, invece, sempre il mio sogno lontano, custodito in un piacevole cassetto. Mi sarebbe piaciuto condividere le mie conoscenze e il mio modesto sapere, acquisito anche attraverso la lettura di chissà quanti libri durante la mia vita, con qualcun altro.
Cosa ti ha spinto a scrivere questo tuo primo libro La mia Morandi? Nel libro ripercorri oltre 50 anni della tua storia, ma anche quella dei tuo compagni di allora e di quella società che era tutta un’altra cosa. Scrivere è anche rivivere e andare indietro nel tempo… durante la stesura del libro questi ricordi cosa hanno suscitato in te?
L’occasione, per condividere il mio modesto sapere, mi è stata data da un problema di salute che mi ha costretto a mettermi in pensione, consentendomi di avere molto tempo libero disponibile per dedicarmi alla lettura e, finalmente, anche alla scrittura. Ma bisognava trovare l’argomento giusto. Anche questo, per caso, mi è stato dato dall’occasione di una rimpatriata tra amici ex calciatori. Volevo scrivere un panegirico, un qualcosa di elogiativo, di simpatico, di divertente che interessasse il periodo della mia adolescenza che ho condiviso, tanto amorevolmente e cameratescamente, con gli amici della mia seconda casa, la Morandi, squadra dilettantistica calcistica di Barrafranca.
Grande e unica peculiarità di questa società era la disposizione di una comoda e spaziosa sede, ubicata in pieno centro, al lato della chiesa Madre. Per 30 anni, dal 1964 al 1994, tre generazioni di adolescenti hanno bivaccato in questa sede trasformandosi da tremolanti virgulti a forti e nodose querce. Obiettivo del mio racconto è solo e semplicemente quello di rendere un piccolo omaggio per gli amici ritrovati, grazie alla Morandi, dopo 50 anni. Un modesto ricordo, un inno infinito, nato dalla forza dei suoi, ormai, lacunosi ricordi, dedicato, con tanto sentimento, all’amicizia ed all’amore.